Loveless: senza amore non si può vivere

Condividi su
Trailer italiano di Loveless

Trama di Loveless

Loveless è la storia di una perdita, anzi, di più perdite riconducibili a una causa comune. Zhenya (Maryana Spivak) e Boris (Aleksey Rozin) hanno un figlio, Alyosha (Matvey Novikov), e si stanno separando. Genitori freddi e asettici, Zhenya e Boris hanno combinato un matrimonio d’emergenza per coprire la gravidanza di lei con un velo di rispettabilità. La creazione di una famiglia ha inoltre permesso a Boris di trovare un buon posto di lavoro, facendosi assumere da un capo che la moglie definisce “uno che pratica la sharia cristiana, un ultraconservatore ortodosso”.

La tesa situazione famigliare viene peggiorata ulteriormente dal fatto che sia Zhenya che Boris si sono, nel frattempo, trovati nuovi e fissi partner; e di certo non aiutano i pessimi rapporti che Zhenya ha lasciato che, nel tempo, si instaurassero tra lei e la madre. Quando dunque Alyosha un giorno non torna più a casa da scuola, questo fragile stato di cose arriva al collasso, obbligando i protagonisti a fronteggiare le loro mancanze e i loro demoni interiori senza poter accampare più alcuna scusa.

Recensione di Loveless

Senza amore. Senza amore, come affermano titolo e personaggi di Loveless (2017), ultimo film del regista russo Andrei Zvjagincev, non si può vivere. Questa la tesi del cineasta, il quale, alla sua terza collaborazione con il co-sceneggiatore Oleg Negin dopo Elena (2011) e Leviathan (2014), tocca il punto più alto della sua carriera artistica con una pellicola che, vivendo di urla e di silenzi, affonda il coltello in quella che Zvjagincev identifica come una delle piaghe del suo Paese natale: un certo fatalismo religioso, unito a un sostrato di perbenismo trasversale a ogni strato sociale.

Premiato con la Palma d’oro a Cannes e nominato a BAFTA, Golden Globe, e Oscar come Miglior Film di Lingua Straniera, Loveless si pone dunque in continuità con la ricerca di umana introspezione che ha caratterizzato fin dagli esordi il cinema di Zvjagincev. Con una sistematicità che ricorda il verghiano Ciclo dei Vinti, il regista si immerge, a turno, in diversi milieu sociali e vi rimesta a fondo, con mano ferma, senza mai lasciare spiragli di facile compassione. Elementi fissi, e cari alla tradizione russa, vengono così riportati costantemente sullo schermo e analizzati in profondità, decostruiti; osservati, sempre pare per la prima volta, con occhi diversi, e stupiti.

Ecco allora che la casa non si fa più luogo del focolare domestico ma di oppressione e prigionia; né la sicurezza una volta fornita da un’altra comunità, quella religiosa, sa più dare conforto e certezze in una società troppo impegnata, come avviene in Loveless, ad ascoltare distrattamente la televisione e a condividere selfie sullo smartphone per preoccuparsi realmente di quanto stia avvenendo fuori dalla propria bolla personale. In questo modo, Loveless si fa, innanzitutto, una storia di responsabilità mancate. Non si può vivere senza amore. Ma amare vuol dire, in primis, sapersi prendere cura attiva dell’altro, o dell’altra, che si professa di amare.

Non c’è dunque da stupirsi che Zvjagincev, ancora una volta assorbendo e rielaborando la lezione del precursore Tarkovskij, prediliga inquadrature lente, a volte fisse, e pigri movimenti di macchina a un montaggio dinamico e accelerato. È certo il regista a dover fare la storia; ma ancor più è suo compito prendersi cura della storia, e la vita quotidiana, ragiona Zvjagincev, non manca di nulla per essere materiale da sceneggiatura.

Dunque, che tutto scompaia, senza lasciare traccia, nell’austero paesaggio russo. Che tutto venga riassorbito negli stupendi toni della fotografia di Mikhail Krichman, collaboratore di lungo corso di Zvjagincev il cui lavoro tocca con Loveless nuove vette di cremosa omogeneità espressiva. Che tutto possa essere riassunto nella regia d’appostamento di Zvjagincev, e nella sua cura nella ricerca spasmodica della perfetta sovrapposizione di piani. In fondo, se, citando il titolo di un film di Xavier Dolan, la dissoluzione della famiglia di Zhenya e Boris è solo la fine del mondo, o almeno del mondo di Alyosha, che sia in grande stile. E che venga ricordata dalle fronde degli alti alberi alla periferia di Mosca. Quelli che gettano il loro riflesso sulle placide acque di fiumi di campagna. O che si levano alti verso la gelida luce del sole del Nord.

Elementi positivi

  • Grande introspezione
  • Empatia con i personaggi
  • Regia e fotografia di alto livello
  • Ottime interpretazioni attoriali

Elementi negativi

Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.