Il giardino delle streghe (1944). Il sequel de Il bacio della pantera (1942) di Tourneur

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Locandina de il giardino delle streghe (1944)

Il giardino delle streghe

Titolo originale: The Curse of the Cat People

Anno: 1944

Nazione: Stati Uniti d’America

Genere: Horror, Drammatico, Fantastico

Casa di produzione: RKO Radio Pictures

Distribuzione italiana: Non disponibile (originariamente distribuito dalla RKO Radio Pictures)

Durata: Circa 70 minuti

Regia: Gunther von Fritsch, Robert Wise

Sceneggiatura: DeWitt Bodeen

Fotografia: Nicholas Musuraca

Montaggio: J.R. Whittredge

Musiche: Roy Webb

Attori principali: Simone Simon, Kent Smith, Jane Randolph, Ann Carter

Trailer de Il giardino delle streghe

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Nel 1942, la casa di produzione RKO Radio Pictures realizzò e distribuì nei cinema americani il B-movie horror “Il bacio della pantera” (Cat People), prodotto da Val Lewton e diretto dal regista francese naturalizzato americano Jacques Tourneur. Grazie alle abilità registiche di Tourneur e alla sua visione narrativa, il film si elevò a vero e proprio capolavoro cinematografico dell’epoca, per regia e uso autoriale della fotografia. Spinta dal successo di pubblico e critica ottenuto da “Il bacio della pantera”, la RKO Radio Pictures decise di puntare fermamente su questi personaggi, realizzando un sequel narrativo del lungometraggio horror. La produzione delle riprese iniziò il 16 agosto 1943 e si concluse il 4 ottobre, con alcune riprese aggiuntive effettuate nella settimana del 21 novembre ’43.

Alla regia venne inizialmente scelto Gunther von Fritsch, al suo debutto in un lungometraggio. Tuttavia, von Fritsch venne sostituito durante le riprese dal montatore Robert Wise, anch’egli al suo esordio alla regia. La sostituzione avvenne perché von Fritsch si dimostrò eccessivamente lento nel completare le riprese, non riuscendo a rispettare la tabella di marcia e facendo aumentare i costi di produzione del film. All’entrata in scena di Robert Wise, von Fritsch aveva girato solo metà della sceneggiatura in diciotto giorni di riprese previsti per completare l’intera pellicola. A causa di questi ritardi, von Fritsch venne licenziato (non comparendo neppure nei titoli di testa) e il budget aumentò da $147.000 a $212.000.

Nonostante l’ottimo lavoro registico svolto nel primo film, Jacques Tourneur non venne confermato alla regia. Tuttavia, Val Lewton rimase nel ruolo di produttore e DeWitt Bodeen tornò a scrivere la sceneggiatura, avendo già lavorato sul soggetto e lo script de “Il bacio della pantera”. Anche il cast venne confermato: Simone Simon nei panni di Irene Reed, Kent Smith in quelli di Ollie Reed e Jane Randolph come Alice Reed. Nel ruolo di protagonista troviamo la giovanissima Ann Carter, che interpreta Amy Reed, la figlia di Ollie e Jane. Dopo i ritardi dovuti alle riprese, il film fu distribuito in America nel febbraio del 1944, venendo spesso proiettato dopo la visione del classico “Cat People”.

Trama de Il giardino delle streghe

Dopo il suicidio di Irina, la donna pantera, Ollie, il primo marito di Irina, e Alice si sono sposati e hanno avuto una bambina di nome Amy. La famiglia cerca di vivere una vita nella più totale normalità, tentando di superare i traumi legati ai misteriosi eventi che hanno coinvolto Irina e la sua morte. Tuttavia, quando la piccola Amy compie sei anni, le ferite del passato si riaprono e il nome di Irina inizia a circolare nuovamente, pieno di vita, tra le mura domestiche.

Amy è una bambina che vive più nel mondo delle fiabe che in quello reale, faticando a distinguere realtà e finzione. Ollie desidera che Amy si faccia degli amici della sua età, ma nonostante gli sforzi della bambina, i suoi coetanei sembrano non volerla come amica di giochi. Tutto cambia quando un’anziana donna, che tutti i bambini ritengono una strega, le lancia dalla finestra un piccolo anello. Potrebbe essere magico?

Nella solitudine del suo giardino, Amy esprime un desiderio all’anello: ottenere un’amica, come promesso ai suoi genitori. L’amica compare per Amy, ma nessun altro riesce a vederla. Le cose si complicano quando Amy rivela che la sua nuova amica ha le sembianze di Irina, la donna che ha visto solo in foto e di cui non conosce la storia oscura.

Fotogramma de il giardino delle streghe (1944)
Fotogramma de il giardino delle streghe (1944)

Recensione de Il giardino delle streghe

Al termine della visione rimane un senso di delusione e straniamento. La pellicola sembra ingannare il suo pubblico sotto vari aspetti di lettura di genere, dove horror, fantastico e dramma si intrecciano in maniera confusionaria. Il primo elemento di inganno è presente nel titolo dell’opera, un titolo originale che sembra essere stato creato appositamente per sfruttare l’aura di successo della pellicola precedente, realizzato per attirare il pubblico in sala cinematografica. Nonostante il volere del produttore Val Lewton, la RKO distribuì il film con il titolo “The Curse of the Cat People”, richiamando vistosamente gli eventi raccontati nel lungometraggio precedente. Il problema è che questo film non sembra essere il reale e ideale seguito del precedente, se non per la riproposizione dei medesimi attori e del medesimo mondo narrativo. In “The Curse of the Cat People” non troviamo, a livello sceneggiativo, quegli elementi narrativi e di genere che hanno fatto la fortuna della pellicola precedente. Non abbiamo alcuna connessione con quella componente noir-horror dal sapore animalesco e leggendario che aveva affascinato l’immaginario collettivo del pubblico, incantato dagli eventi incentrati su questa donna ibrido-animale, che, mossa da sentimenti d’amore, si trasformava in una belva assassina e pericolosa.

Un film confuso nel genere

Il produttore Val Lewton voleva che la pellicola s’intitolasse “Amy and Her Friend”, un titolo che avrebbe avuto un profondo legame con il film in questione, un legame che né il titolo americano né il titolo italiano possiedono. “Il giardino delle streghe” non richiama “Il bacio della pantera”, ma fa intendere al pubblico di trovarsi di fronte a una storia di stregoneria dal sapore marcatamente horror e tenebroso, componenti che non appartengono minimamente a questo film. Nonostante qualche breve e insignificante richiamo al mondo della magia e delle streghe, la pellicola si muove sui contorni di un dramma infantile, risultando un’opera intimistica e piccola che si concentra sui problemi di una bambina di sei anni che non riesce a farsi delle amicizie e che desidera essere una brava bambina agli occhi dei suoi genitori, facendo tutto quello che loro vogliono senza farli soffrire.

Il nome del film italiano però mette in luce una problematica inerente a questo lungometraggio: un’eccessiva commistione di generi fini a sé stessi. Lo sceneggiatore e la regia inseriscono nella vicenda sensazioni da thriller-horror che dovrebbero suscitare paura nello spettatore, ma questi elementi di tensione narrativa e di genere horror sembrano fini a sé stessi, stonando all’interno della pellicola. Il produttore Lewton ha fortemente voluto che il film fosse un dramma riguardante una bambina che confonde realtà e immaginazione, raccontando la difficile vita di questa bimba che non distingue bene il fantastico e il mondo delle fiabe dalla verità della vita. Se l’argomento è questo, perché realizzare la pellicola con tecniche cinematografiche, registiche e sceneggiative del genere horror, dando la sensazione che qualcosa di terribile, magico e mostruoso possa accadere da un momento all’altro, quando poi non accadrà mai?

Il titolo italiano si riferisce esplicitamente all’elemento delle streghe, perché la storia sembra quasi trattare di stregoneria attraverso il personaggio di Julia Farren e soprattutto di Barbara, quest’ultima sembra essere la vera minaccia della pellicola, una minaccia che però si sgonfia nel momento cruciale. Nella realtà dei fatti, però, Barbara avrebbe dovuto avere maggiore profondità e importanza nel finale della pellicola. Secondo la versione della sceneggiatura di DeWitt Bodeen, la figlia inquietante di Julia Farren avrebbe dato il via a un lungo inseguimento all’interno delle proprie mura domestiche per uccidere la piccola Amy nell’ultimo atto, un inseguimento che il produttore del film, intervenendo pesantemente sulla sceneggiatura per renderla in parte autobiografica, ha deciso di tagliare completamente, sostituendolo con una scena più dolce e gentile. Questa scelta ha indebolito il personaggio di Barbara.

Se nella sceneggiatura si voleva creare una storia in grado di mescolare con saggezza l’elemento horror e thriller con quello del dramma infantile, serviva qualche scena con più pathos, qualche elemento realmente oscuro, qualche scena davvero raccapricciante, tutto ciò però non c’è. Dunque la mia domanda è: perché non fare solo un film drammatico che puntasse sull’emozione? Perché creare questa storia come seguito de “Il bacio della pantera”? Perché non creare un seguito più ancorato alla vera storia, alla sua mitologia?

Pazzia o realtà?

“Il giardino delle streghe” è una storia profondamente intima che si collega al film precedente soltanto attraverso i personaggi e il tema della follia. Se in “Il bacio della pantera” Ollie credeva che sua moglie Irina fosse affetta da allucinazioni e pazzia — una condizione che la faceva credere a leggende inventate, come trasformarsi in pantera — in “Il giardino delle streghe” abbiamo Ollie e Alice che non credono a ciò che la loro figlia di sei anni racconta. Scambiano le sue visioni e allucinazioni per menzogne, mentre per Amy sono verità profonde. Amy crede fermamente che quell’anello abbia esaudito il suo desiderio e che Irina sia la sua amica del cuore con cui gioca ogni giorno. L’enigma centrale di questa pellicola, più evidente che nel film del 1942, è il seguente: Amy è affetta da follia o ciò che vede è la pura realtà? Questa domanda guida l’intera struttura drammaturgica che narra la storia incentrata su una bambina solitaria di sei anni, immersa nel mondo delle fiabe più che in quello reale, e che spesso lotta per distinguere la verità dalle favole. Amy, ad esempio, infila le lettere d’invito al suo compleanno in un albero, convinta che ciò che il padre gli aveva detto anni prima fosse la verità. Ollie, difatti, aveva narrato alla bambina, scherzando, che all’interno di un tronco di un albero in giardino fosse situata una cassetta postale magica capace di spedire le lettere. La bambina però ci aveva creduto, non capendo che ciò non fosse possibile.

Nel film non solo Amy affronta la tematica follia-realismo, ma anche l’anziana signora Julia Farren, che nel finale si riconnette in modo significativo a questo tema. La sua lotta interiore con la follia la porta a credere a cose non vere, comportandosi in modo ostile con la figlia, a cui attribuisce caratteristiche quasi demoniache e magiche. La casa di Julia Farren aggiunge un tocco di stregoneria alla storia, con queste due donne dal comportamento lugubre e alcune brevi scene che evocano l’atmosfera di una vicenda di streghe. Un esempio è quando Mary, insieme al suo maggiordomo, non riesce ad aprire la porta di casa, come se qualcosa di potente e magico lo impedisse. Una scena che però non viene ripresa e sviluppata narrativamente.

Quando ci accingiamo a visionare questa pellicola, dunque, non dobbiamo aspettarci di trovarci di fronte alle atmosfere tipiche di “Cat People”. Dobbiamo piuttosto considerare questo film come un continuo narrativo riguardante la vita di Ollie e Alice, che cercano di trovare un equilibrio nella loro vita coniugale, cercando di scacciare dalla mente il pensiero di Irina. Guardando il film in questa luce, senza cercare quelle sfumature horror dal sapore animalesco, può risultare grazioso da vedere, trattando una storia di psicologia infantile, tema fortemente voluto dal produttore Lewton. Questi ha inserito nella vicenda elementi autobiografici riguardanti la sua infanzia, spostando la storia dal genere horror a un dramma su una bambina la cui fantasia si interseca con la realtà dei fatti, e sul bisogno di avere un amico. Questo bisogno porta la mente della bambina a crearsi un’amica immaginaria dalle sembianze di Irina, una sorta di fantasma amichevole e benevolo, molto diverso dall’Irina de “Il bacio della pantera” e con un carattere totalmente diverso.

La vera pecca di questo film è che la sceneggiatura non è riuscita a concentrarsi esclusivamente sul dramma, un genere che avrebbe potuto donare maggior forza alla vicenda e commuovere gli spettatori dell’epoca. La piccola Ann Carter, attrice bambina attiva tra il 1941 e il 1949, ha dato al pubblico un’intensa prova attoriale, capace di reggere la pellicola su di sé nonostante una regia poco accattivante che non trasmette alcuna emozione agli spettatori.

Simone Simon in Il giardino delle streghe (1944)
Simone Simon in Il giardino delle streghe (1944)

In conclusione

“Il giardino delle streghe” tenta di esplorare temi profondi legati alla psicologia infantile e all’immaginazione, ma è intrappolato in una narrazione confusa e un mix di generi che non si amalgamano in modo efficace. Nonostante una buona performance da parte di Ann Carter e il tentativo di esplorare diversi aspetti narrativi, il film delude in quanto non riesce a concentrarsi in modo coeso sui suoi punti di forza. La regia poco incisiva e il titolo ingannevole contribuiscono a un’esperienza complessiva deludente per il pubblico, che potrebbe sentirsi disorientato e poco coinvolto dalla storia presentata.

Note positive

  • Tematica della psicologia infantile: Il film affronta in modo profondo e toccante il tema della psicologia infantile, concentrandosi sulla solitudine e sull’immaginazione vivida di una bambina di sei anni, Amy. Questo aspetto aggiunge una dimensione emotiva e umana alla storia, rendendo il personaggio di Amy e il suo mondo interiore interessanti e ben sviluppati.
  • Interpretazione di Ann Carter: Ann Carter offre una performance notevole nel ruolo di Amy, trasmettendo con efficacia la complessità emotiva del suo personaggio. La sua interpretazione riesce a sostenere la pellicola nonostante le sue altre debolezze, contribuendo a far emergere la profondità della storia personale di Amy.
  • Tentativo di mescolare generi: Anche se criticato, il tentativo di mescolare elementi di thriller-horror con il dramma psicologico e la storia di formazione di Amy può essere visto positivamente. Questo approccio, sebbene non sempre ben riuscito, mostra un intento di esplorare diverse sfaccettature della narrazione e dei personaggi.

Note negative

  • Confusione di genere: Il film soffre di una confusione evidente nella combinazione dei generi, cercando di inserire elementi di thriller-horror che non si integrano organicamente con la trama principale. Questa miscela disomogenea crea una narrazione incerta e poco chiara, che può deludere il pubblico in cerca di coerenza e significato tematico.
  • Titolo ingannevole: Il titolo “Il giardino delle streghe” non riflette adeguatamente il contenuto e lo spirito del film. Questo può ingannare il pubblico, suggerendo un’atmosfera di stregoneria e mistero che non è presente nella pellicola stessa. L’uso di un titolo fuorviante può danneggiare le aspettative degli spettatori e compromettere la fruizione dell’opera.
  • Debolezza della regia: La regia non riesce a trasmettere adeguatamente l’intensità emotiva e l’atmosfera desiderata della storia. Mancano momenti cinematografici che possano elevare la narrazione al di là delle limitazioni imposte da una sceneggiatura e un montaggio talvolta poco ispirati.

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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.

Articoli: 904

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