The Wolf of Wall Street (2013): La pericolosità di un’incontrollabile ricchezza

Condividi su
Trailer italiano di The Wolf of Wall Street

La quinta collaborazione tra Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio consiste nella trasposizione cinematografica, sceneggiata da Terence Winter, dell’autobiografia The Wolf of Wall Street (2007) scritta dal broker Jordan Belfort. Curato dal direttore della fotografia, 3 volte nominato all’Oscar, Rodrigo Prieto, e montato dalla fedele collaboratrice Thelma Schoonmaker (3 Oscar vinti per il montaggio di Toro scatenato, The Aviator e The Departed), il lungometraggio vanta la presenza del compositore e direttore d’orchestra Howard Leslie Shore. Nel cast, composto da interpreti di assoluto livello, oltre a DiCaprio, figurano Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler e Jon Bernthal. The Wolf of Wall Street ha ottenuto 5 nomination all’Oscar 2014, tra cui miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista (DiCaprio, vincitore del Golden Globe), miglior attore non protagonista (Hill), migliore sceneggiatura non originale.

Trama di The Wolf of Wall Street

Corre l’anno 1987 quando Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio) cerca di trovare un’opportunità nel mondo di Wall Street. Ad assumerlo è Mark Hanna (Matthew McConaughey) della storica L.F. Rothschild, un abile broker che racconta al giovane Belfort come cavarsela in un luogo competitivo come la Borsa di New York. Ma il 19 ottobre dello stesso anno l’indice Dow Jones registra un calo del 22,61 %, causando il fallimento della società gestita da Hanna. Belfort, senza più un lavoro, risponde alla richiesta di un piccolo call center che vende penny-stocks, accettando immediatamente l’incarico e notando un’incredibile opportunità. Sfruttando l’importo delle commissioni, pari al 50 % del valore delle azioni acquistate, Belfort, grazie alla sue ottime capacità di venditore, comincia a guadagnare cifre che alla L.F. Rothschild erano semplicemente irraggiungibili. Il passaggio a una società propria, gestita con l’aiuto di Donnie Azoff (Johan Hill) e Brad Bodnick (Jon Bernthal), è ormai prossimo. Ricchezza e fama crescono a dismisura, la rivista Forbes lo definisce The Wolf of Wall Street, e Belfort, affascinato dalla bellezza di Naomi Lapaglia (Margot Robbie) decide di separarsi da sua moglie, Teresa Petrillo (Cristin Milioti), per avviarsi verso la costruzione di un impero ambito da molti. Ma il repentino successo del giovane broker attira le attenzioni dell’agente FBI Patrick Denham (Kyle Chandler), curioso di scoprire ciò che realmente ha condotto Belfort sul tetto di Wall Street.

Recensione di The Wolf of Wall Street

L’ultimo lungometraggio del sodalizio artistico tra Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio rappresenta un’opera unica, non nel senso di un’assoluta raffinatezza registica, ma piuttosto nella profondità insita e celata in ogni sequenza del film. Del resto, The Wolf of Wall Street deve essere considerato per il suo significato più recondito, trattato dal cineasta statunitense come qualcosa su cui riflettere, senza l’immediatezza che ormai contraddistingue la società moderna. La stessa eretta proprio dal Jordan Belfort interpretato da DiCaprio, slogan perpetuo di uno stile di vita votato all’egoismo, senza il minimo risentimento per chi viene derubato. Perché Jordan non è un benefattore, e non tenta nemmeno di far guadagnare i propri clienti. Al contrario vende loro titoli spazzatura, traendo soldi, stavolta veri, dalle commissioni che organizza con tanta verve. “Nessuno sa se la borsa va su, giù, di lato, in circolo”, sostiene Matthew McConaughey in una delle prime scene. Un insegnamento che consente di comprendere l’effimera consistenza di Wall Street: instancabile produttrice di ciò che non esiste, di qualcosa che non ha una sua collocazione materiale. Eppure, nonostante questo, assoluto polo attrattore di una ideologia. O meglio, stimolatrice di un desiderio che, in effetti, ancora una volta, reale non è.

Belfort dichiara infatti, con una nota di presuntuosa superiorità, di “vendere spazzatura agli uomini della spazzatura”, truffando le persone con curiose descrizioni di quello che potrebbero avere, raffigurando un futuristico status da uomo di successo e conquistando il loro interesse più primitivo. Da abile broker, ma ancora di più da eccelso esperto di marketing, il personaggio interpretato da DiCaprio incrementa la propria fama, assemblando un impero costruito letteralmente sul nulla. Semmai basato su quel concetto di fugazi, tanto vicino a quel fake oggi così di moda. Scorsese raffigura quindi un mondo completamente a sé, scostante, eppure il centro vitale di una città come New York e, soprattutto, di Wall Street. Un luogo definito curiosamente da David Halberstam, vincitore del Pulitzer 1964 nel libro Playing for Keeps: Michael Jordan and the World He Made (1999, ispiratore del documentario Netflix The Last Dance), come destinazione di notevoli quantità di stupefacenti, alla pari della National Basketball Association prima dell’arrivo di David Stern.

Ma se l’affinità tra i broker di Manhattan e gli atleti della lega professionistica di basket può spiegarsi per la difficile gestione dello stress, la medesima comparazione perde di significato quando vengono identificati i modelli da seguire. In una parte di Wall Street, come provato dall’articolo che, svelando le molte contraddizioni di Belfort, conia il dispregiativo soprannome The Wolf, non si hanno remore riguardo a ciò che è sbagliato. Al contrario, DiCaprio diviene l’icona a cui ambire. Una specie di aspirazione comune tra i neofiti della borsa che, come lui, ammirano la facilità nell’arricchirsi, le feste fuori dal comune, l’apparente disinteresse nell’organizzare un’astutissima trappola capace di truffare esponenti di ogni classe sociale. Eppure, nonostante i continui ammiccamenti, soprattutto visivi, del Belfort-Style allo spettatore, Scorsese delinea una “seconda linea” priva di ipocrisia ma fortemente critica nei confronti del regno eretto dal broker.

Perché era lo stesso Jordan che non si vestiva da “lupo” all’inizio della carriera. Belfort, semplice e comune apprendista di Wall Street, non comprendeva nemmeno ciò che Mark Hanna/Matthew McConaughey gli stava svelando: ovvero che il profitto reale è esclusivamente per l’agente di borsa, limitando il cliente a un mera ideologia priva di concretezza. In pratica, considerando una perversa logica, si crea denaro dal nulla, quasi come se si disponesse di una Zecca privata, “drogando” le persone che pagano le commissioni con incessanti rimandi ad un più prosperoso – e sempre irripetibile – futuro. Ed ecco uno dei punti fondamentali di The Wolf of Wall Street, ovvero la non considerazione dell’altro, un fenomeno delicatamente enfatizzato dalla regia di Scorsese eliminando tutto ciò che non rappresenta la società di Belfort. I clienti, per esempio, definiti da timorose voci comunque cariche di speranza; presenze inconsistenti che, però, conducono il broker alla ricchezza. La stessa ostentata da Belfort senza il minimo ritegno persino ad un agente federale. La stessa per cui desidera uno wow di risposta. I soldi, del resto, creano la fama. Ed è chiaro che quel giovane agente di borsa nato nel Bronx, fin dal suo primo giorno a Wall Street, intenda conquistare il rispetto che, forse, gli è sempre stato precluso.

La sfarzosa abitazione, la Lamborghini bianca, l’elicottero, lo yacht, addirittura la bellissima Naomi, rientrano così in quel “senso di ricchezza” che Belfort ricercava molto prima di avere successo. Faceva parte di quei “giovani che agivano come branchi di lupi selvaggi” (J. Belfort, The Wolf of Wall Street, 2007), la cui convinzione è stata incitata da personaggi come Mark Hanna, ma anche come Donnie Azoff. Il personaggio interpretato da Jonah Hill, il primo a riconoscere la straordinarietà di Belfort con la domanda “quanto guadagna al mese?”, costituisce l’indispensabile, oltreché inconscia, spinta a pensare in grande, ponendo le basi per la fondazione della Stratton Oakmont: una società che rappresenta l’impero eretto dal broker nella vendita di penny-stocks. Un tipo di titolo, quest’ultimo, che pericolosamente prelude, per via del basso rating, a quei mutui subprime ad alto rischio la cui sconsiderata commercializzazione ha provocato il crollo della borsa nel 2007. Come a ricordare: niente è cambiato. I lupi sono ancora lì. Un concetto che Scorsese tenta di ribaltare, enfatizzando la fragile natura di Belfort durante il dialogo con l’agente Patrick Denham. Un uomo nella media, non certamente ricco. Eppure in grado di incrinare la sicurezza di Belfort proprio per la mancanza di wow riferiti alle proprietà del giovane broker, ricordando a tutti quanto sia importante la presenza, pur minima, di qualche cane pastore nella nostra società.

Note positive

  • L’interpretazione corale del cast (un plauso particolare per Leonardo DiCaprio)
  • La regia di Martin Scorsese
  • La sceneggiatura di Terence Winter

Note negative

  • Nessuna da segnalare
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.