Quei bravi ragazzi: La normalità del crimine

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Quei bravi ragazzi

Titolo originale: Goodfellas

Anno: 1990

Paese: Stati Uniti d’America

Genere: Drammatico / Thriller

Casa di produzione: Warner Bros. Pictures

Prodotto da: Irvin Winkler

Durata: 2 hr 25 min (145 min)

Regia: Martin Scorsese

Sceneggiatura: Martin Scorsese, Nicholas Pileggi

Fotografia: Michael Ballhaus

Montaggio: Thelma Schoonmaker

Attori: Robert De Niro, Ray Liotta, Joe Pesci, Lorraine Bracco, Paul Sorvino, Frank Sivero, Frank Vincent, Samuel L. Jackson

Trailer di Quei bravi ragazzi

Trama di Quei Bravi Ragazzi

Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti. Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un “gruppo”. Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. “Loro” non erano mica come tutti gli altri, “loro” facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia. I ragazzi arrivavano in Cadillac e me le lasciavano parcheggiare. Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, un dollaro qua un dollaro là. Vivevo come in un sogno.

CIT. HENRY HILL (RAY LIOTTA)

Un affresco malavitoso che parte dal 1958 per arrivare agli anni Ottanta. Henry Hill (Liotta) è figlio di immigrati italo-irlandesi, affascinato dal contesto mafioso dei piccoli quartieri della Grande Mela. Fatta amicizia con il gelido gangster Jimmy Conway (Robert De Niro) e lo psicopatico tirapiedi Tommy DeVito (Joe Pesci), Henry inizia pian piano a farsi strada tra i “bravi ragazzi” a colpi di omicidi, torture, partite di droga e piccoli furti.

Raggiunta la vetta ma spaventato dalla violenza e dalla prospettiva della galera, Henry finirà con il denunciare i compagni all’FBI, abbracciando la mesta esistenza del collaboratore di giustizia.

Recensione di Quei Bravi Ragazzi

Uno dei migliori film di mafia di sempre e uno degli apici registici di Martin Scorsese. Si potrebbe pressappoco descrivere così Quei bravi ragazzi, film del 1990 che copre trent’anni di storia della malavita italo-americana con un ritmo che non lascia un attimo di tregua in ben due ore e mezza di visione. Tratto dal romanzo Wiseguy del co-sceneggiatore Nicholas Pileggi, il lungometraggio immerge senza fronzolo alcuno in un microcosmo criminale che si nutre come un parassita di una società ormai corrotta sino alle vette della politica; un mondo fatto di regole fredde e spietate, dove al tradimento corrisponde una sanguinosa vendetta, estremamente attraente per il buontempone Henry Hill, protagonista della vicenda interpretato da Ray Liotta.

Quei bravi ragazzi è un dirompente saggio antropologico sull’ossessione dei criminali per il successo, ma soprattutto sulla solitudine estrema e il perenne stato paura da loro provata quando un alleato muore o li “vende” alle autorità. Un film perfetto nei tempi scanditi dal montaggio di Thelma Schoonmaker, pieno di tensione, violenza e momenti di improvviso divertimento, con una ricostruzione storica mastodontica e credibilissima, saccheggiata da innumerevoli e anemici imitatori.

Analisi di Quei Bravi Ragazzi

L’occhio clinico di Scorsese e Pileggi dipinge una storia di personaggi tridimensionali che, però, fa attenzione a non prendere le parti della glorificazione mafiosa. Al contrario di un altro capolavoro del genere come Il Padrino di Coppola, Quei bravi ragazzi viaggia nella quotidianità dei pesci piccoli, lasciando sugli spalti i capomafia di maggior spessore scenico e mettendo a fuoco gli aspetti meno “spettacolarizzati”. Per quanto l’atto violento spesso esploda e lasci sconvolti, i criminali di Scorsese sono per prima cosa interessati a fare più soldi possibili e a formare una “famiglia”, una catena umana basata sulla protezione dei compagni e il lavoro di squadra, fatta di affetto e goliardia ma capace di mettere da parte i sentimenti di amicizia e uccidere a sangue freddo alla minima puzza di sgarro.

La meravigliosa sceneggiatura sviluppa tutti gli accadimenti che ostacolano vite sentimentali e malavitose dei protagonisti per fluire nell’amaro finale, traguardo di ogni vita spericolata costretta a fare i conti con il prezzo preteso dal codice di violenza e dalla comodità dei guadagni facili. Il cast in serata di grazia tiene insieme l’intrecciarsi esistenziale di ogni personaggio con un’ammirevole maturità artistica. Ray Liotta è superbo, la sua voce fuori-campo sarcastica e malinconica ci accompagna tra le zone d’ombra di Henry Hill, esplicando una passione per il crimine nociva per il matrimonio con Karen (Lorraine Bracco) e per tutti i suoi altri rapporti umani; Robert De Niro tratteggia un assassino cinico e paranoico, la cui centralità cresce di scena in scena rivelando lati di commozione e paura che testimoniano conflitti irrisolti con le proprie fragilità. Su tutti spicca Joe Pesci, vincitore del Premio Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, apparentemente bonario ma inquietante per i tratti schizofrenici che lo portano a uccidere per le ragioni più risibili.

L’esegesi dell’anarchia del potere mafioso, che passa sopra ogni regola della civiltà per proteggere i propri interessi, viene condita d’ironia brillante ai limiti della dissacrazione ma ben salda su fondamenta realistiche. L’apparente libero arbitrio del gangster conduce passo dopo passo all’autodistruzione, alla perdita di amicizia, amore e serenità. Alla remissione dei peccati. Eppure il lieto fine e la catarsi sono banditi; rimangono solo vergogna e rimorso.

NOTE POSITIVE

  • Regia e recitazione.
  • Sceneggiatura ben calibrata nei toni.
  • Montaggio fluido e coinvolgente.
  • La ricostruzione storica.

NOTE NEGATIVE

  • Nessuna. Parliamo di un capolavoro senza mezze misure.
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