Manoel De Olivera: Il regista portoghese tra teatro e documentarismo

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Manoel De Olivera

Manoel De Olivera

Nazionalità: Portogallo

Lungometraggi:

Aniki Bóbó 

Il pane 

Atto di primavera 

Il passato e il presente 

Benilde o la Vergine madre 

Amore di perdizione 

Francisca 

Conversazione privata 

Nice… A propos de Jean Vigo

Lisbona capitale d’Europa 

Le Soulier de satin 

Simposio Internacional de Escultura em Pedra

Mon cas

I cannibali 

No, la folle gloria del comando

La divina commedia 

Giorno della disperazione 

La valle del peccato 

A Caixa (1994)

I misteri del convento 

Party 

Viaggio all’inizio del mondo

Inquietudine

La lettera 

Parola e utopia 

Ritorno a casa 

Porto della mia infanzia

Il principio dell’incertezza 

Un film parlato 

Il Quinto Impero – Ieri come oggi 

Specchio magico

Bella sempre 

Cristoforo Colombo – L’enigma 

Singolarità di una ragazza bionda 

Lo strano caso di Angelica 

Gebo e l’ombra  (2012)

Uno dei registi più particolari è Manoel De Olivera, morto a 106 anni, che ha realizzato il suo ultimo cortometraggio O Velho do Restelo nel 2014, quando aveva 105 anni. Nato a Porto, città situata a Nord del Portogallo, considerata la capitale economica della nazione, Manoel De Olivera ha realizzato il suo primo cortometraggio nel 1931, un documentario sui lavoratori del fiume che scorre alle pendici della cittadina. Questo suo lavoro era un corto muto dato che il sonoro pur esistendo non era stato ancora prodotto in Portogallo. Questa connotazione accentua la forza di questa figura alquanto straordinaria per il cinema, in grado di attraversare la storia del cinema con i suoi film benché siano stati prodotti in modalità discontinua a causa di problemi altamente politici.

La censura su De Oliveira

Il suo cinema non era gradito dalle autorità portoghesi durante gli anni della dittatura. Nel Portogallo il fascismo è iniziato in ritardo rispetto a quello italiano. Nel 1923 è salito al potere Antonio Salazar, una sorta di Mussolini, e qui il fascismo, così come in Spagna, è durato più a lungo, arrivando fino al 1974.

Il Portogallo non si schierò a fianco della Germania, come accade per l’Italia, ma ha scelto di rimanere un paese neutrale, e concedendo nel dopoguerra agli americani spazi per porre delle basi militari conquistandosi così l’appoggio e la protezione degli Usa, e questa abilità politica di Salazar di salire sempre nel carro dei vincitori, gli permise di far sopravvivere questo regime fascista fino al 1974, quando il 25 aprile ebbe luogo la liberazione dei garofani, un colpo di stato organizzato dalle forze armate che rovesciò il fascismo portoghese senza spargimenti di sangue, avvenuto pochi anni dopo la morte di Salazar del 1970.

Negli ultimi anni il fascismo era un  regime anacronistico, vecchio, e nel 74, la storia durata più di 50 anni del fascismo portoghese finisce. Il Portogallo era un paese emarginato rispetto all’Europa, era un paese povero, che aveva visto tramontare tutte le sue fortune coloniali delle epoche passate, dopo il periodo delle grandi scoperte, la più grande e più ricca colonia del Portogallo era il Brasile indipendente nel 1830 e ha mantenuto colonie ricche dal punto di vista delle materie prime, fino alla fine del fascismo, L’angola e il Mozambico, indipendenti nel 74, dopo la caduta di ciò che aveva fondato Salazar.

Il Portogallo è ,in quel periodo, un paese in declino, povero, in cui il cinema, come in Italia di quegli anni, era finanziato dallo stato, e si apre una sorta di arma a doppio taglio del controllo e della censura; il fatto che è lo stato che da soldi al cinema per la sua produzione, fa sì che sia più controllato e censurato. Manoel De Olivera fu la principale vittima dello stato portoghese, che gli bocciò fino alla metà degli anni 60 tutti i finanziamenti. La sua carriera è discontinua, perché il suo primo film è del 31 e, scorrendo la sua filmografia, per trovare poi il suo primo lungometraggio giungiamo nel 1941, quando Olivera realizza un film intitolato “ Aniki Bóbó  ” che è mischiato a una filastrocca per bambini, ambientato nella città di Porto e girato in ambienti naturali e interpretato da attori non – professionisti bambini, divisi in bande, che creano una sorta di triangolo amoroso nei confronti di una bambina che diventa l’oggetto di desiderio di due bambini in lotta tra di loro.

Manoel De Olivera dopo la dittatura

All’inizio degli anni 70, dopo la morte di Salazar, la censura si allenta, e iniziò la cosiddetta nouvelle vague portoghese, e da questi registi fu scelto lui come primo regista a cui sarebbe stato finanziato un film con il nuovo finanziamento di sovvenzioni pubbliche, con una forma introdotta alla fine degli anni 60. Dal 70 in poi ha avuto una produzione di lungometraggi e cortometraggi di altro tipo realizzando circa trenta pellicole. Ha iniziato ad avere un’attività continuativa a 60 anni fino a 105 anni. Questo lo rende una figura del tutto eccentrica, contemporaneo di Dryer ed Ezjenstein, che però appartiene a un’altra generazione, ma che ha avuto una carriera asincrona rispetto a quella della sua generazione. Proprio per questa sua collocazione asincrona, è più riferito al cinema moderno che a quello del cinema contemporaneo.

L’estetica

Con Manoel de Oliveira e in gran parte del cinema moderno, abbiamo uno sguardo disincarnato, un occhio che osserva da una distanza spesso molto forte che evidenzia i fatti raccontati, e proprio per questa distanza non ambisce tanto a muovere il coinvolgimento empatico, ma di produrre il distacco e la contemplazione. Lo spettatore è chiamato a mettersi in una posizione di distacco e di contemplazione di fronte a questi film, che ripudiano una partecipazione e coinvolgimento emotivo di sintonia immediata con le azioni e la narrazione presente nel film.  Philphe Ragel ci parlerà di Cine – Stasi, la dimensione della stasi in un medium che è di per se movimento, il cinema. La stasi sarà una di queste forme dell’emozione contemplativa che il cinema moderno cerca di attivare nei confronti dello spettatore, come Kiarostami sguardo contemplativo, di emozione estetica; Anche in Olivera la stasi, la dialettica tra l’immobilità e il movimento è un elemento fondamentale del suo cinema, che si basa sopratutto su uno sguardo rivolto alle origini stesse della cinematografia come vediamo nel lungometraggio Mon cas dove gioca con un linguaggio meta cinematografico andando a riprendere interamente uno spettacolo teatrale

Il cinema di Olivera si fonda su un racconto primitivo, quello che si definisce anche racconto a stazioni o a quadri, forma tipica del cinema delle origini, di quando il cinema non ha messo ancora a punto quel sistema di raccordi, quel sistema narrativo che gli permetterà di raccontare delle storie in maniera fluida e sintattica. Il racconto primitivo è quel racconto ancora paratattico, che possiamo attribuire al racconto pre nascita del modo di rappresentazione istituzionale, prima di Griffith, quando ancora il film come gli spettacoli della lanterna magica faceva vedere un quadro dopo l’altro senza che ci fosse un collegamento tra questi. L’esempio di un racconto primitivo è L’Inferno della Milano Films, del 1911, che ci parla della divina commedia di Dante, filmati come dei quadri distaccati l’uno dall’altro, mantenendo la struttura autonoma che ciascun episodio dantesco ha rispetto agli altri. Macchina da presa frontale, macchina fissa, inquadratura lunga che ritroveremo in molti film di Manoel De Olivera.

  1. Frontalità della mdp e frontalità dei personaggi rispetto alla mdp
  2. Attori inquadrati quasi sempre in figura intera
  3. Scenografie artificiali, piatte, che non fanno niente per dissimulare il loro carattere artificiale
  4. Effetti speciali, come il primo piano del personaggio della luna parlante, evidente omaggio al viaggio sulla luna di Melies
  5. La costruzione di un’immagine doppia, una sorta di fotomontaggio cinematografico, ottenuto sovrapponendo due immagini riprese in tempi diversi sulla stessa pellicola, creando due spazi che non vanno d accordi tra di loro, che si mescolano e giustappongono nella stesa inquadratura, pur restando autonomi.
  6. Primo piano in funzione attrazionale

Olivera non segue la strada dell’empatia, ma la strada opposta della denuncia dell’artificio, che è gioco e finzione, e non fa niente per far sì che il cinema sia qualcosa di autentico. Se la verità nel cinema esiste, non sta certo nel modo in cui le immagini sono costruite e montate tra di loro.

Negli anni 80, De Olivera descrive il cinema paragonandolo al baraccone di una fiera, perché si chiamano gli attori, si mettono i costumi, per DIRE UN TESTO. Ciò che è necessario è montare il baraccone, che si registra, mettendolo davanti alla macchina da presa. C’è una costruzione materialista del cinema: Non è una finestra sul mondo, lo schermo non è un qualcosa di trasparente che ci trasporta in un mondo reale; il cinema è semplicemente ciò che io metto davanti alla macchina da presa e ciò che io filmo, è un artificio perché nel momento in cui io metto degli effetti dipinti davanti alla mdp, questi oggetti non diventano simbolicamente uno spazio coerente, ma qualcosa di finto e di posticcio, che deve manifestare il suo carattere finto, non deve fare niente per sembrare vero. Un esempio è rintracciabile nel suo film Le soulier de satin – Le palais des mille et une nuits:

  • Una foresta vediamo a un certo punto del film, sia per l’organizzazione degli spazzi e delle scenografie artificiali, riprende Melies
  • La luna sta per tramontare: Si intravede una luna palesemente artificiale dalla finestra sullo sfondo della scenografia. Anche questo artificio di mostrare degli astri, o la luna, il sole, al di là della finestra, è tipica del cinema delle origini e dell’ attrazione, per svelare l’artificio

Il cinema di Olivera è una specie di ritorno della veduta, forma visuale che ha avuto la sua massima fortuna di massa nel 19 secolo. Il concetto di veduta nasce precedentemente, con la nascita della camera scura e delle camere ottiche per ottenere delle vedute di paesaggi naturali, basta a pensare come pittori come Caneletto, Gualdi; nel corso del 800 la veduta diventa una forma di fruizione di massa grazie allo sviluppo di una serie di forme mediali rappresentative che la caratterizzano, il Panorama, sia il dispositivo ottico a 360 gradi sia la forma della fotografia panoramica con un angolo di ripresa molto più ampio. La veduta è la forma fotografica per eccellenza, che si lega alle origini stesse della fotografia nel 19 secolo, e di cui il cinema delle origini trae spunto; infatti la veduta urbana e di paesaggio sono i generi privilegiati del primo cinema, quello dei Lumiere. E’ un cinema che si presenta come una successione di vedute, come se lo spettatore è posto di fronte a uno spettacolo del cinema delle origini.  La dimensione tra fissità e immobilità è molto importante nel cinema de Olivera

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